La cultura occidentale è solita prendere in prestito e ispirarsi ad alcune figure provenienti dall’Oriente ma, quando ciò accade, si incorre spesso in errori che portano a snaturarne l’origine e il significato. Una di queste figure è quella del samurai, importata sotto forma di abile guerriero con la sua inseparabile spada, la katana. In effetti […]
La cultura occidentale è solita prendere in prestito e ispirarsi ad alcune figure provenienti dall’Oriente ma, quando ciò accade, si incorre spesso in errori che portano a snaturarne l’origine e il significato.
Una di queste figure è quella del samurai, importata sotto forma di abile guerriero con la sua inseparabile spada, la katana. In effetti il samurai è anche questo, ma non solo.
I samurai erano guerrieri del Giappone feudale, riuniti in una casta aristocratica che prevedeva una rigida e inderogabile disciplina che poteva giungere fino all’estremo gesto del suicidio qualora necessario per la salvaguardia dell’onore.
Contrariamente alla tipica figura del soldato occidentale, il samurai doveva essere una persona di eccezionale cultura e, seguendo il codice di condotta della casta (il Bushido, “la via del guerriero”), era tenuto a coltivare il proprio interesse per le arti, tra cui la musica, la pittura, la poesia. In poche parole, l’antico guerriero giapponese racchiudeva in sé l’equilibrio tra forza e saggezza.
La principale caratteristica del samurai (dal giapponese, “colui che serve”) era l’obbedienza. Al servizio di un feudatario, il Daimyō, il guerriero era tenuto ad eseguire qualsiasi tipo di ordine senza mostrare alcun segno di insofferenza.
Ma il fascino di questa figura è dovuta soprattutto al suo rapporto con la morte. Secondo le prescrizioni del Bushidō, la morte era l’unico modo nobile per espiare una colpa oppure per evitare la propria uccisione per mano del nemico.
Il suicidio come gesto estremo per conservare l’onore del samurai prendeva il nome di seppuku o harakiri e veniva eseguito secondo un rituale curato in ogni dettaglio.
Inginocchiato con le punte dei piedi volte all’indietro in modo da assicurare la caduta del corpo in avanti, il guerriero praticava sul proprio ventre un taglio che andava da sinistra verso destra per poi salire verso l’alto.
Il suicida poteva inoltre scegliere un suo compagno fidato per la decapitazione, che avveniva per conferire ulteriore onorabilità al seppuku e per evitare che il volto fosse in invaso da espressioni di dolore.
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