Javed Iqbal, noto anche come Il Mostro Pakistano, è uno dei serial killer mediorientali più noti della cronaca nera, la cui attività criminale – breve ma intensa – costò la vita a 100 giovani vittime. Nasce nel 1956 a Lahore, metropoli del Pakistan con 11 milioni di abitanti, da una famiglia benestante che gli consente […]
Javed Iqbal, noto anche come Il Mostro Pakistano, è uno dei serial killer mediorientali più noti della cronaca nera, la cui attività criminale – breve ma intensa – costò la vita a 100 giovani vittime.
Nasce nel 1956 a Lahore, metropoli del Pakistan con 11 milioni di abitanti, da una famiglia benestante che gli consente di proseguire gli studi oltre che di avere una casa tutta per sé. La nuova abitazione, lontana da quella dei genitori, fa sì che Iqbal possa condurre liberamente uno stile di vita ambiguo.
Nel 1998 arrivano le prime accuse nei suoi confronti. Sospettato di sodomia ai danni di alcuni minorenni, Javed riesce ad evitare la condanna e, dietro il pagamento di una cauzione, torna ad operare nella sua tana.
L’anno successivo Iqbal condivide la sua casa con due ragazzini di 13 e 15 anni, che insieme a lui apriranno una vera e propria stagione di caccia che perterà nel giro di qualche mese alla morte di centinaia di bambini.
Non è difficile trovare per le strade dell’affollata Lahore segni di degrado e abbandono, così come non è difficile trovare bambini e ragazzi che vivono in quello stesso stato. Javed punta proprio a questi: avvicina le giovani vittime – molte delle quali in fuga dalle loro famiglie – offrendo loro un lavoro oppure del cibo.
Arrivati a casa, con la complicità dei suoi coinquilini, Iqbal droga e violenta le vittime prima di eseguire sui loro corpi una nuova serie di violenze che mirano all’eliminazione totale delle prove.
I bambini vengono strangolati con una catena di ferro, i cadaveri ridotti in pezzi e sciolti nell’acido comprato per circa due dollari da un uomo che – accusato anch’egli dalle autorità – finirà per suicidarsi. Il serial killer e i ragazzini complici scaricano i resti liquefatti nelle fogne della zona, poi nel fiume Ravi.
Iqbal non si limita a compiere gli omicidi e a disfarsi dei corpi, perché la sua abitazione è una sorta di santuario delle vittime. Sangue sulle mura, scatoloni pieni di vestiti dei bambini stuprati e uccisi, le loro foto, e infine un quaderno nel quale l’assassino appunta scrupolosamente nome, età e data di morte di ogni singola vittima.
Alla fine del 1999 è lo stesso Javed a confessare 100 omicidi nella lettera inviata ad un giornale. Il processo dura due mesi e il giudice emette una sentenza che fa discutere: il serial killer deve essere strangolato pubblicamente con una catena di ferro, tagliato in cento pezzi e sciolto nell’acido.
In seguito alle proteste la pena viene ridotta ad una semplice impiccagione, tuttavia nel 2001 Iqbal viene trovato senza vita – insieme al complice ancora minorenne – all’interno della sua cella.
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