La religione – lo vediamo in questi giorni – è talvolta alla base di alcuni dei più crudeli crimini della storia, e lo è anche nella raccapricciante vicenda di suor Mariam Soulakiotis, meglio conosciuta come la “Rasputin al femminile”, autrice di circa 177 decessi di giovani donne. Negli anni ’20 un monaco greco fonda […]
La religione – lo vediamo in questi giorni – è talvolta alla base di alcuni dei più crudeli crimini della storia, e lo è anche nella raccapricciante vicenda di suor Mariam Soulakiotis, meglio conosciuta come la “Rasputin al femminile”, autrice di circa 177 decessi di giovani donne.
Negli anni ’20 un monaco greco fonda la setta dei Calendaristi e costruisce un convento non lontano da Atene; nella sua impresa è aiutato da un’operaia, Mariam Soulakiotis, che alla morte dell’uomo prende le redini dell’organizzazione imponendo regole estremamente rigide che tuttavia trovano fondamenta decisamente materiali e poco spirituali.
Nel 1949 gli abitanti della zona cominciano a nutrire dubbi rispetto a quanto avviene dietro le mura del convento: si sentono spesso urla disperate e nel villaggio avvengono strane sparizioni di giovani donne.
Nel 1950 una donna si mette in contatto con le autorità per denunciare una presunta truffa da parte della setta: la madre, fedele dell’ordine, ha deciso di donare a Mariam Soulakiotis tutte le sue proprietà. Bastano poche ricerche per scoprire che non si tratta dell’unico caso: tutte le seguaci delle suore calendariste ad un certo punto trasferiscono i propri averi alla Madre Superiora. Poi muoiono.
Le autorità non fanno altro che dedicarsi al caso, tuttavia la Rasputin al femminile appare molto più scaltra del previsto: senza prove nessuno può accusarla. L’arresto si tiene finalmente nel 1951, quando viene accusata e poi condannata a 16 anni per aver rinchiuso una ragazza contro la sua volontà tra le mura del convento per 12 anni.
Le punizioni corporali erano al centro della dottrina di Mariam Soulakiotis, la quale privava del sonno le sue seguaci, le convinceva del fatto che sarebbero andate in paradiso solo liberandosi delle proprietà, dunque picchiava a morte o, in alternativa, le lasciava deperire senza cibo e acqua.
La dichiarazione di un portavoce del Ministero della Giustizia greco rende bene la gravità della vicende:
Queste donne sono socialmente pericolose, sono scaltre e riescono a fuggire dalla legge. Prima o poi commetteranno un errore, come tutti i criminali, e noi saremo lì. Quelle pazze sono convinte che un giorno andranno in cielo ma, se le incontriamo, conosceranno prima l’inferno.
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